martedì 29 aprile 2008

Ciauscolo




Ciauscolo, Ciabuscolo, Ciavuscolo.


Molti sono i modi di chiamare questa specialità Marchigiana, molto apprezzato per il gusto e per la sua particolare morbidezza, che lo rende spalmabile.
Si produce in tutta la Regione, ma la sua Origine sono le province di Macerata e Ascoli Piceno.
Questo Salume è definito “ povero” di magro e “ricco” di grasso per almeno il 60% della sua composizione, ecco perché è possiamo trarre la sua caratteristica”morbidezza e spalmabilità”anche dopo una lunga stagionatura.
Ritagli di polpa di spalla, del prosciutto, del capocollo e della pancetta in una percentuale che si aggira (55-65%), sono gli ingredienti di carne che si usano per il Ciauscolo, ma qui vengono aggiunti gli aromi, sempre naturali che danno il gusto e la prelibatezza di questo “Salsicciotto” (il nome che veniva dato in campagna),sale, pepe.Scorza d’arancia, finocchio a piacere, aglio e vino bianco o vino cotto.
Queste carni sono sminuzzate finemente e tritate, utilizzando trafile(coltelleria) sempre più piccole, in modo da ottenere una pasta spalmabile, morbida e omogenea da lasciare riposare per alcune ore e da insaccare poi nel budello naturale del maiale”gentile”.
Messo ad asciugare vicino al caminetto per alcuni giorni”affumicatura”, successivamente, è trasferito in un luogo fresco e areato dove la conservazione deve essere un punto forte e dove finisce anche il processo di stagionatura, che va da un minimo di venti giorni a due o tre mesi massimo.
Per acquisire un sapore più corposo e più forte, c’è chi lo tiene anche quattro mesi prima di consumarlo.
Dall’etimologia Ciauscolo sarebbe spiegato come diminutivo latino di “cibo”: i vari nomi o definizioni dialettali che gli sono stati assegnati: “ciauscolo”o”ciabusco”o”ciavuscolo”o”cibbusco”,sarebbero un pervertire del nome latino”cibusculum” dato a questo insaccato “piceno”.
Un pasto “freddo “ del pane appena sfornato del ciauscolo e una bottiglia di Vernaccia di Serrapetrona, sarebbero tre punti fondamentali per una gita campestre, dove chi parla è la natura.




Vincenzo Gagliardini

lunedì 28 aprile 2008

LA STORIA DEL VINO



La storia del vino è Antica…. Antichissima…….per non dire Arcaica…. tanto da confondersi con le origini dell’umanità.
“Vino” ha origine dalla parola sanscrita (antica lingua indiana) “vena” formata dalla radice ven (amare), o Venus, Venere.
Il vino fin dall’antichità, è stato sempre simbolo dell’amore, della gioia di vivere, un nettare capace di rilassare il corpo, procurare ebbrezza a coloro che sanno apprezzare le giuste qualità di questo nettare, facilitare lo scambio di comunicazione, ma anche mettere in contatto l’uomo, con il sopranaturale.
Come per il fuoco si narra, che anche il vino , fu scoperto casualmente.
Quale sarà allora la vera Patria della vite? (Vitis Vinifera Sativa), è una discendente della Silvestris ? In che periodo, si cominciò ad utilizzare questo frutto per preparare il sublime succo (VINO).?
Rispondere a tale domanda non è semplice,benché siano stati effettuati dettagliati studi. Le documentazioni degne di fede si confondono con la leggenda,mitologia,religione e poesia,rendendo impossibile scindere la storia ,dal mito.
Fu scritto, e si pensa che la Vitis Vitiferas, la specie di vite con cui si fa maggior parte del vino moderno, si sia sviluppata nel 7500 a.C., nella regione transcaucasica, oggi Armenia, e Georgia.
La Vitis Vinifera, prosperava nelle zone temperate dei due emisferi tra il 50° e il 30° grado di latitudine nord, e il 30° e il 40° grado di latitudine sud.
Questa vite, con la sua gran capacità d’adattamento ha progressivamente occupato terreni e soprattutto climi che in origine non si addicevano per niente,a questo tipo di pianta.
Tra alcune delle principali specie di vite (V.Rugosa, V. Lanata, V. Parsifolia ed altre ancora), si sarebbero create delle ibridazioni spontanee successive,
queste avrebbero originato un certo numero di razze capostipiti.
Le separazioni degli ibridi,i fatti mutativi e più tardi la selezione volontaria,avrebbero creato le molteplici specie.
Il Muscat, e Syrah si pensa che siano i vitigni più antichi al mondo, come indica la stessa etimologia dei loro nomi.
Storia e leggenda spesso s’incontrano nel cammino dei secoli per narrare ai popoli, fatti e prodigi del mondo antico.
Si narra che l’uomo della preistoria scoprì per caso che il succo d’uva dimenticato in una sacca di pelle, a causa dell’alta temperatura, aveva subito una magica trasformazione, dagli esiti sorprendenti e per niente malvagi. Anzi, Il gusto era buono e gli effetti inebrianti.
Le prime tracce della coltivazione della vite (una pianta che nasce molto prima dell’uomo) si trovano in Asia minore, nelle terre tra il Tigri e l’Eufrate.
Si è parlato anche di Noè che appena sceso dalla leggendaria Arca arenatasi ad Ararat, ; avesse notato,che in alcuni punti,dove non c’erano segni d’acqua,il terreno fertile poteva dare dei buoni frutti, disseminò quanto aveva portato con se,non avendo fretta,di partire, attese che questa pianta desse i suoi i suoi frutti.Lasciato al sole,questo, diede i suoi risultati. Un sublime succo uscì da quegli acini,una certa euforia si sprigionò su quest’uomo…… ,(tradizione ebraico-cristiana).”Noè, il coltivatore, iniziò a piantare la vite.Avendo bevuto del vino, fu ebbro…….” (Genesi,IX,20-21).
A questo punto, non fu solo l’inventore del vino, ma divenne anche il primo ubriaco della storia.
Fra le tante cose sacre e molto amate dall’uomo troviamo la “sacra vite, ed il trionfo del suo dolce licore, nella vita degli uomini e degli Dei.
La vite era considerata come un dono di un Dio per gli Egiziani, Osiride, per i Latini ed i Greci, Bacco, per gli Italici Saturno e per gli Ebrei.
Le prime attestazioni dell’attività vinicola appartengono agli antichi Egizi e giungono a noi in un affresco conservato a Tebe, che riproduce ogni fase del processo: “La raccolta e la pigiatura delle uve, la vinificazione ,la lavorazione di questo frutto, fino al trasporto sulle imbarcazioni lungo il Nilo”.
Furono gli Egizi i maestri, e depositari di tali tecniche.
Dalla narrazione a noi riportata,possiamo solo dire, come funzionava il processo produttivo di questo nettare, ma non abbiamo mai saputo, e mai avremmo testimoni di che sapore sia stato questo eccelso succo.
I vini erano in maggior parte Rossi (le uve raffigurate sono solo nere) tipiche del clima temperato della zona.
Nella terra dei faraoni nascono i primi viticoltori e bevitori di vino. Erodono li descrive in preda all’ubriachezza più sfrenata mentre festeggiano il plenilunio. (21 dicembre)?
I vini di allora,si dice: che erano conservati in anfore di terracotta sigillate con su impresso l’anno di produzione: “Questo fu anche un primo tentativo di invecchiare il vino”.
La storia del vino in Grecia, è certamente fra le più ricche, queste bevande hanno ricoperto un ruolo importante e fondamentale sin dai primi periodi della formazione e dello sviluppo di questa civiltà.
Peri questo popolo,il vino era una “Pharmakon” una medicina, ma al tempo stesso potrebbe anche essere stato,un veleno.
La produzione di vino era a quei tempi già nota in altre popolazioni, come per esempio gli antichi Babilonesi in Mesopotamia, i quali però preferivano la birra al vino, mentre fu proprio nell’antica Grecia che il vino assunse un ruolo importante e da lì si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo.
Con l’emergere della civiltà greca, i metodi di vinificare le uve furono perfezionate e l’ubriacatezza assunse un carattere sacrale, tanto da riservare nell’Olimpo delle divinità un posto importante proprio al dio del vino( Dioniso), figlio di Giove (Zeus), e Semele. Si narra anche che Dionisio, rivelò agli uomini i segreti della produzione della bevanda. L’iniziazione al culto di questa divinità prevedeva di bere vino in onore di questo; celebrando le cosiddette”Orge Dionisiache”delle vere e proprie feste dedicate al vino.”
La corrispondenza del Latino Bacco, e del greco Dioniso è pressoché totale: così come il dio latino è figlio di Giove, e Semele, analogamente Dioniso nasce secondo la mitologia greca dall’incontro fra Zeus e Semele nota anche come “Luna”.
Bacco dal latino Bacchus,nome che nell’antica Roma,era stato dato al Dio Greco Dionisio.
I modi di celebrare, e venerare Bacco e Dioniso, erano gli stessi, anche se in Grecia il culto di Dioniso risale a tempi più antichi.
Queste feste, dette Baccanali, consistevano in celebrazioni all’insegna dela sfrenatezza alle quali partecipavano di solito esclusivamente donne.
Sull’identità della procreatrice vi sono in realtà anche altre versioni, ma la più famosa, è quella che vede in Semele la madre di Dioniso.
Secondo la leggenda, lei s’incontrò segretamente con Zeus, lui spacciandosi per un comune uomo mortale, ne fu immediatamente conquistata.
La gelosa Era, però trasformatasi in una megera, rivelò a Semele la vera identità di Zeus, e la convinse a farsi mostrare dal dio le proprie, e reali sembianze.
Di fronte al rifiuto di Zeus di smascherarsi, Semele negò il suo amore, il dio allora infuriatosi svelò il suo vero aspetto, facendo scatenare tuoni e folgori così forti da farla sparire.
Il bambino in grembo Dioniso appunto, fu però salvato da Ermete e nacque in seguito alla coscia di Zeus divenendo così un dio immortale.
La vendetta di Era però, doveva ripetersi sul giovane Dioniso, furono incaricati dei Titani per l’uccisione del neonato, fu però la nonna Rea madre di Zeus che gli ridonò la vita.
Zeus allora affidò il piccolo Dioniso alle cure della Regina Ino, che per proteggerlo lo nascose nelle stanze delle donne.
Questo nascondiglio fu scovato da Era tant’ è che, per proteggere il figlio, Zeus ordinò ad Ermete di trasformare il piccolo in un capretto.
La leggenda narra sempre che Dioniso fu poi portato presso il Monte Elicona, per essere affidato, e accudito dalle ninfe, nascondendo il dio in una grotta nutrendolo con del miele.
<121>a.C poiché quel periodo aveva avuto un sole splendente.Si narra che fu ritrovato del vino di duecento anni prima, ridotto però ad una sorta di miele amaro (il gusto aspro era la caratteristica di tutti i vini invecchiati), ma fu utilizzato ugualmente in piccole dosi con vini nuovi rendendoli diversi nel gusto.
I primi vini Romani erano piuttosto grossolani;i blasonati erano importati dalla Grecia vino dolce e rosso, si citano: Chio,Nasso,Toso,Lesbo,Rodi, e Cipro.
Anche i Romani con gli anni, si organizzarono al meglio alla coltivazione delle vigne,e alla vinificazione delle uve.
Anche la degustazione dei vini,raggiunse dei bei traguardi,gli assaggiatori (sommelier) si chiamavano haustores, questi si attenevano a regole ben precise : prima della degustazione non mangiavano troppo cibo,specie se di sapore molto forte,e non inghiottivano mai il vino preso in esame.
I vini erano selezionati secondo il sapore, vale a dire: vinum dulce (dolce); vinum soave, nobile, pretiosum (morbido); vinum molle, lene (molle); vinum imbecille, fugiens, humechi saporis (debole, insipido); vinum forte, solidum (potente, pieno); vinum firmum, valium (solido); vinum austerum (da poche confidenze); vinum asperum, acre (aspro per uve non maturate); vinum ardens, generosum (caldo, alcolico); vinum crasso (pesante); vinum sordidum, (vino volgare, vile).
Secondo il colore, il vino poteva essere: vinum album (bianco); vinum fulvum, (giallo); vinum sanguineum (rosso sangue); vinum porpureum (porporino); vinum niger, ater (nero); vinum medium (grigio o rosato).
Il vinum austerun o siccum, indicavava sicuramente quello che oggi noi chiamiamo vino asciutto, vino secco.
Da ritrovamenti scritti si può affermare che i Romani bevevano un vino diverso da quello che siamo abituati a bere noi oggi.
Essi preferivano il vino lungamente invecchiato, come in genere si usava in tutta l’Antichità.
Il Falerno ad esempio, non si poteva bere prima dei dieci anni, e rimaneva un ottimo vino fino a trenta anni d’invecchiamento; i vini di Sorrento erano buoni soltanto dopo venticinque anni,mentre il vino puro, il (Merum), era riservato agli dei.
La mescolanza avveniva durante il banchetto, facendosi servire nel creatore, o bicchiere acqua calda o fredda o neve, secondo la qualità del vino (uno a quattro), quest’usanza di mescolare il vino con dell’acqua non era solo Romana, ma di tutta l’antichità.
Oltre la mescolanza con l’acqua, i Romani usavano dei “tagli” tra vini di provenienza diversa; con gli amabili vini di Chio, per esempio, mitigavano l’asprezza del robusto Falerno.
Nell’antica Roma, per cinque secoli dopo la sua fondazione è sempre rimasta la regola:divieto alle donne al vino anche annusarlo era reato. Infatti si narra che il bacio sia nato a Roma in quei secoli di severa astinenza.
Difatti, gli uomini della casa erano autorizzati ad annusare le labbra delle donne per accertarsi se avevano o no, bevuto del vino; un marito poteva ripudiare la moglie, se scopriva che, aveva fatto uso di questa bevanda.
Con il passare degli anni, i severi costumi si allentarono, e nell’età imperiale alle donne fu concesso di bere il vinum passim, cioè il vino passito, o dolce.
Più tardi con il mutare dei tempi, e con l’aumentare della corruzione, le donne gareggiarono con gli uomini nel prendere parte alle crapule più sfrenate.
La coltivazione della vite andò assumendo sempre più importanza per la religione,tanto che solo al (Flamine Diae),il più antico sacerdote di Roma,spettava iniziare e bandire la vendemmia,e concedere il permesso di aprire le botti.




Il divino Augusto (si dice),che fra tutti i vini preferisse quello di Sezze (in prossimità delle paludi Pontine). Considerato da lui,un delizioso digestivo.
Questo vino, seguiva per la fama quelli dell’agro di Falerno, (Plino lamenta che la loro rinomanza era in regresso…… da quando è in mano a gente che bada più alla quantità che alla qualità!), di cui il più noto era il “Faustiniano”del quale esistevano tre qualità, il forte, il dolce e il leggero.
C’erano i famosi vini Albani che avevano come caratteristica: la leggerezza, ed erano consigliati per i convalescenti.
I vini della zona di Segni (sulla Via Appia) erano molto aspri, tanto che erano usati come astringenti per l’intestino.
Per mitigare questi forti sapori, si usava il “defrutom” oppure altre soluzioni.
In Grecia per esempio, era applicata polvere di marmo, il sale o come abbiamo visto l’acqua di mare….e Plino lamentava che aggiungendo !
In Italia era usata la pece crapulona (resina trattata con acqua calda o esposta al sole facendo evaporare l’olio essenziale); in Africa si usava il gesso o la calce.
Vini dal sapore intermedio, tra naturale e dolce, erano ottenuti arrestando la fermentazione, mettendo il mosto in orci (vaso di terracotta panciuto a due manici) messi a loro volta in acqua e lasciati lì fino al solstizio d’inverno (21 dicembre).,
In questa categoria conosciuto era: “Il protopo” una specie di “ Vino Porto secco”, ottenuto dal mosto di prima pigiatura, immediatamente imbottigliato e fatto fermentare e cuocere al sole per quaranta giorni nell’estate successiva.
Il miglior passito era ottenuto con uve messe a seccare per sette giorni al sole, su graticci in un luogo riparato e protetto dall’umidità della notte, per poi essere pigiate all’ottavo giorno.
Il vino così ricavato da quest’ultimo processo naturale, si poteva definire di eccellente sapore, e profumo.
I soldati romani al termine della conquista dell’impero,avevano ricevuto l’ordine di impiantare vigneti, e di insegnare ai popoli indigeni la tecnica della viti-enologia.
Con questo sistema, la coltivazione della vite si diffuse in, Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, e Africa settentrionale.
Anche per questo motivo si può considerare l’Italia “terra del vino”, grazie anche alla civiltà Romana che portava i propri costumi nel bene o nel male, nelle terre conquistate.
“Anassagora faceva parte del gruppo dei filosofi che si occupava di natura, cosiddetti presocratici il quale aveva sostenuto che il sole non era un Dio ma una massa incandescente e che la luna non brilla di luce propria.
Anassagora si era trasferito ad Atene ma da qui dovette fuggire, perché fu processato per le eresie che sosteneva (anche a quei tempi le religioni erano intolleranti).

Con la caduta dell’Impero Romano, iniziò anche il declino della viticoltura. Il latifondo, l’affidamento del lavoro agli schiavi, la crisi monetaria, le lotte interne, le invasioni barbariche, il disordine politico e amministrativo, l’insicurezza pubblica, soprattutto nelle campagne; crearono condizioni sfavorevoli all’agricoltura, ed in particolar modo alla viticoltura. Molti agricoltori estirparono i vigneti, per non subire le forti tasse, cui era assoggettati, tanto che nel IV secolo l’imperatore Teodosio, per frenare questo fenomeno, decise la pena di morte per chi tagliava le viti (sacrilega falce). I contadini furono costretti a lasciare le campagne, cercando sicurezza presso di chi poteva proteggerli.
Si narra anche che nel I sec. d.C., si determinò una sovrapproduzione di vino, che provocò una seria crisi.
Questa costrinse l’Imperatore Domiziano nel 92 d.C., ad emanare un rilevante editto, imponendo ai contadini di sradicare metà delle vigne, vietando anche nuovi impianti, per lasciare posto alla coltivazione del grano.
L’imperatore con quest’editto, volle porre un freno all’esagerata diffusione della vite nell’impero, e rialzare così le sorti della granicoltura, per evitare la carestia.
Domiziano, con questa legge, era certo in una rivalutazione per le sorti dell’enologia in Italia, poiché si era già alla presenza di un periodo d’evidente crisi, poiché il vino si produceva, in quasi tutti i Paesi del mondo romano.
Questa crisi andò sempre più aggravandosi con l’aumentare esagerato del fisco, e col diffondersi, del latifondismo, da far si, che negli ultimi anni dell’Impero d’Occidente, non si poteva parlare di decadenza viti-vinicola, ma di declino dell’agricoltura in generale.

Tra il V e il X secolo, un importante contributo alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio vitivinicolo fu assegnato ai vescovi, dai monaci, dagli ordini religiosi cristiani, e dalla nobiltà laica
La chiesa seppe riempire il vuoto che gli agricoltori avevano accumulato in quel periodo, offrendo sicurezza, e protezione.
In questo periodo del Medioevo, lo sviluppo della viticoltura si deve in gran parte ai monasteri e conventi, divenuti proprio dei veri centri vitivinicoli, vista la necessità di produrre vino, per le celebrazioni delle Santa Messa; questo contribuì notevolmente alla produzione della viticoltura anche in quelle zone dove non era usuale fare questa.
In quel periodo era ormai noto, come i centri monastici fossero dei centri importanti, sia per la vita culturale sia per la vita economica dei centri vicini: la coltivazione della vite è solo uno dei tanti aspetti, e dei tanti lavori portati avanti nei monasteri.

Da questo momento il vino che rallegra l’anima, diviene sangue, e il sangue della terra”sanguinis uvae” insieme al pane diventano il nutrimento dell’animo.
La Religione Cristiana avendo bisogno del vino per il compimento del culto, rappresentò la forza di conservazione del poco rimasto e poi di propulsione per lo sviluppo della viticoltura.
Le proprietà agricole dei monasteri o dei vescovi, spesso accresciute da lasciti, divennero centri per la lavorazione, e produzione della vite e del vino; mentre gli ordini monastici, fin da quelli più antichi, quali i Brasiliani, e i Benedettini, portarono la coltura della vite in Europa ai limiti estremi di latitudine, e altitudine.
I monasteri divennero i centri d’unione di tutti quegli uomini legati alla campagna, che non chiedevano altro che lavorare la terra.
L’estensione di questi centri, aumentarono e l’abate divenne il punto di riferimento, non solo morale ma anche civile, poiché assicurava ordine e giustizia.
Questi religiosi imparavano ai contadini le tecniche della viticoltura, e della vinificazione, e si trovano nei monasteri persino”…taverna in monasterium……”, e giacché le regole dei monasteri si facevano sempre meno rigide, il vino era spesso bevuto volentieri non solo durate i riti religiosi ma anche fuori di questi, al punto che “ora et labora”fu affiancato a”bibites fraterne diabolus vos otiosos inveniat” (bevete fratelli affinché il diavolo non vi colga oziosi); gli ecclesiastici che si ubriacavano erano interdetti alla scomunica del Papa.
Se l’abate era il punto di riferimento dei contadini, il vescovo lo era nella società cittadina, fu così che la vite era coltivata e protetta perché il vescovo potesse somministrare il vino a tutti i credenti.
La vigna divenne così simbolo di ricchezza, tanto che nei posti insicuri, spesso i vigneti erano impiantati in vicinanza, o dentro le mura delle città, dei monasteri e dei castelli; oppure recitati, e sorvegliati a vista.
Il vino in questo periodo è stato usato come trattamento terapeutico.
Veniamo allo specifico della prescrizione del Dottor don Giorgio:
In questa, si notano chiari riferimenti alla teoria umorale della scuola ippocratico/galenica,ripresi dagli insegnanti della medioevale Scuola Salernitana,alla cui base stava lo studio dell’Anatomia e l’importanza attribuita all’equilibrio psico-fisico e ad una dieta corretta ed equilibrata.Il Regimen sanitatis salernitanum si occupa a lungo del vino e ne descrive nel dettaglio i vari tipi,e il relativo modo di assumerlo,affermando che:
Sunt nutritiva plus dulia candida vina.
(Più del grosso e colorato nutre il vin bianco e melato.)

Si vinum rubeum nimium quandoque bibatui;
Ventre stipa tu,vox limpidaturbificatur.
(Il vin rosso, a chi sovente lo beve troppo allegramente,
stringe il ventre ed anche nuoce al metallo della voce.)

Vina probantur odore,sapore,nitore,colore.
Si bona vina cupis,haec quinque probantur in illis:
fortia,formosa,fragrantia,frigida,frisca.
(Fan palese il vin sapore,limpidezza,odo,colore.
Se il buon vino conoscer brami,cinque cose ei ti richiami:
sia formoso,sia fragrante,forte sia,fresco e frizzante.)
La scuola Salernitana insegnava inoltre che: “Il medico accorto, quando desiderava salvaguardare la salute di qualche paziente, doveva badare, ed istruire nel bere, secondo la qualità naturale dell’uomo e del vino”.

Nell’alto Medioevo sarebbe stata ancora la religione, il fattore predominante della sopravvivenza delle viti, e del vino; infatti, si sviluppò una viticoltura “ecclesiastica”, alla quale, peraltro, in particolar modo in Francia, si affiancò una viticoltura “signorile, praticata da principi e feudatari, che infondevano il fascino della vite, e del vino, anche come simboli di prestigio, e di livello culturale.
La viticoltura, si estese in Europa in territori attraversati da grandi fiumi navigabili, quali il Reno, Mosella, e la Senna, che consentivano il trasporto del vino a lunghe distanze ed a bassi costi.
La popolazione oppressa e sfiduciata, assistette quasi con apatia alle invasioni barbariche, mentre le terre abbandonate, andarono sempre aumentando.
Con questo, non si può affermare che il lavoro svolto dai romani, andò perduto, perché chi coltivò delle terre, lo fece secondo la tecnica professionale.
I monasteri, contribuirono indubbiamente alla difesa del sapere latino in ogni campo della cultura,
degni di lode, gli ordini dei Benedettini, e dei Cluniacensi.
I Monasteri forti della loro immunità, si sono arricchiti dalle donazioni, e dall’eredità di molti benefattori, creando oasi di pace, e di tranquillità, in un’epoca di violenza. Le popolazioni barbare, che con il tempo si stanziarono nel territorio romano,si abituarono presto alle regole di questa gente, prendendo in considerazione la coltivazione della vite: il mondo civile fece propria la vite assunta a simbolo della cristianità.
Rotari insigne Re longobardo, fissò nel famoso editto una normativa a difesa della vite; anche Carlo Magno, Re dei franchi, nel suo famoso”Capitolare…” dettò le regole per la vinificazione. Si arrivò dunque ad un patto: chiesa e Impero organizzò la normativa agricola.

Il paesaggio incominciò a modificarsi, e numerose famiglie di contadini cominciarono a adunarsi attorno all’Abazzia.
Nel 200 Federico di Svevia ordinò che agli adulteratori del vino fosse coniata la fustigazione, e in caso di recidività, prima il taglio della mano, poi la decapitazione.
Intanto il vino dalle campagne affluiva nelle città, e sorsero dei luoghi aperti al pubblico per sorseggiare boccali di vino.
La richiesta aumentò a vista d’occhio fu così che i produttori di vino preferirono vendere il buono in modo da consentire loro, ottimi guadagni, tenendo per sé il vinello.
La stessa municipalità cominciò a distribuire il vino buono per compensare lavori straordinari o nel caso di feste e cerimonie.

Nel Medioevo saranno i monaci benedettini e cistercensi a fare valorizzare la cultura del vino e a darle nuova linfa: produrre quel nettare-parte integrante del rito della messa.
Per questo nei campi di chiese, monasteri, e abbazie, ”spuntano” le viti.
Non a caso il vocabolario vitivinicolo ricco di termini monastici e molte DOC ,hanno preso il nome da ordini religiosi.
Sono i monaci che inventano nuovi uvaggi, e sperimentano metodi di vinificazione (è un monaco benedettino italiano a creare il metodo della rifermentazione in bottiglia, poi ripreso dal francese Don Pérignon.
Ma è il consumo che sta cambiando, e il bevitore che lo sorseggia nelle osterie comincia ad apprezzare questo nettare senza bisogno di allungarlo, con altre sostanze.
Con il medioevo,anche il commercio del vino venne alla ribalta;erano noti sui mercati i vini d’Istria,il Ribolla ,il Terrano,il Malvasia.
Il famoso vino delle Cinque Terre in Liguria.In Toscana erano molto pregiati il Trebbiano, la Malvasia o Malvagia,il Sangioveto,la Vernaccia o Greco di San Gimignano,ed i vini di Montepulciano.
Il Trebbiano, la Vernaccia,l’Osimano,erano vini Marchigiani.
Anche per quanto riguarda la tecnica enologica, in questo periodo del medioevo ci furono varie trasformazioni, il legno sostituì la terracotta, nei vasi vinari.
In genere la tinaia,aveva occupato il posto della cella vinaria,e la cantina era divenuta un locale sotterraneo,come per reazione alle apoteche Romane.
Per far vinificare le uve in questa èra, si facevano fermentare le vinacce per un periodo ben superiore a quello consigliato dai latini e, con la scomparsa o quasi dei vini ficticia, le molteplici manipolazioni dell’età Romana, si erano molto ridotte.

L’enotecnica si mantenne ancora per qualche secolo allo stadio tradizionale, ma furono accurati studi, a trovare nuovi metodi di lavorazione.

Con il Rinascimento, i vari mercanti inglesi, veneziani, e olandesi incominciarono a trasportare via mare ettolitri, di vino. Con il nuovo mondo scoperto nascono i pionieri del vino i CONQUISTADORES.
A questo punto, conviene parlare di un vero e proprio commercio del vino. Quando esso comincia a svolgersi per quantità, e qualità; arrivando a superare distanze anche notevoli, il vino, divenne una bevanda accessibile economicamente, anche alle classi meno abbienti.
Queste condizioni a bere più vino, iniziarono a verificarsi, quando si ebbero mutamenti sensibili, nel campo dei trasporti e dei relativi costi.
Si ha allora, un passaggio da una circolazione di beni cosiddetti ricchi, ad un commercio di massa.
Il costo del trasporto per via marittima, su distanze di lunga tratta, era sicuramente più moderato:
“Nelle aree interne tirreniche, ed adriatiche, appaiono con valori di “2 fiorini alla partenza e, quindi tre o poco più all’arrivo nei porti”.

Accorgendosi che nell’affrontare il lungo viaggio, il vino non poteva mantenere la sua conservazione,questi mercanti, pensarono e decisero di portare dall’Europa le talee di viti, per piantarle nel suolo americano.
Il millesettecento fu per il vino, un’epoca di grande sviluppo, ed è così,che venne inventato l’imbottigliamento, come chiusura, venne utilizzato il sughero(fino allora era tappata con dei piccoli pezzi di legno, avvolta da stracci ed imbevuti nell’olio, o legati da una colata di cera).
La Francia in quel periodo vantava il suo primato nella vinificazione con il (Bordeaux e della Champagne).
Nel secolo scorso, la viticoltura ha vissuto vicende molto importanti, e subite profonde modificazioni.
La prima, fu il “mal bianco”, causato dallo iodio.Questo fenomeno preso in considerazione da studiosi nel 1845 in Inghilterra.Se non si fosse subito corsi ai ripari,con il giro di pochi anni,tutti i vigneti Europei si sarebbero seccati.
Risolta dopo affannosi studi, con l’impiego di zolfo, la viticoltura stava risollevandosi dalla gravissima crisi causata dal “mal bianco”. Quando un altro gran nemico, è sbarcato dal nuovo Continente, era il 1869, arrivato sulle navi che sopraggiungevano in Europa.
La filossera (Phylloxera vastatrix o Viteus vitifoliae), è un afide parassita della vite, appartenente alla famiglia dei (Phylloxeridae, Phylloxera Castatrix).
Nella vite americana, la filossera si formava sulle foglie delle “galle”, entro le quali, si sviluppavano le uova, generatrici (circa 500) incontrollabili, di questo pidocchio.
I piccoli fogliari, i viticci, ed i tralci erbacei, sono interessati all’attacco di quest’indesiderato nemico.

Sulle radici si formano tuberosità, e nodosità, in seguito alle punture effettuate da quest’afide.
In questo modo è compromessa la normale funzionalità dell’apparato radicale della pianta, la quale va incontro a disfacimento.
Inoltre questo pidocchio, penetra all’interno della radice stessa dove, produce sostanze ormonali, che rendono il tessuto più debole, e facilmente attaccabile, da funghi, e batteri; responsabili d’infezioni letali (ad es. cancri).
Sulle viti europee, fallisce il tentativo delle femmine di formare questo cecide sulle foglie, quindi il ciclo si riduceva ad una serie di generazioni viventi sulle radici, che ben presto marcivano, facendo morire la pianta.
La battaglia contro la filossera fu vinta solo nel 1910 da un francese che individuò il rimedio: innestando le viti Europee su ceppi di vite Americane.
La lotta alla filossera, consiste essenzialmente nel ricercare, le varietà di viti americane più adatte, a fungere da portinnesto, per quelle europee.
Per i nuovi impianti vitivinicoli, sono utilizzate piante innestate, in cui l’apparato radicale (portinnesto, o piede) resiste alla filossera.
Questo è fornito da specie di viti americane, mentre la porzione epigea (varietà innestata) appartiene a specie europee.
Nelle zone dove sono ancora utilizzate, viti non ancora innestate, la lotta alla filossera, è praticata, tramite alcuni importanti accorgimenti quali: impiantare su terreni sabbiosi, che ostacolano la formazione di questi afidi, con la conseguente disinfestazione del terreno prima di impiantare nuove viti.
Principi attivi da utilizzare contro la filossera sono: dnoc (contro le uova d’inverno), FOSFAMIDONE (in primavera).
Un numero rilevante, quindi molte varietà d’uve pregiatissime scomparvero per sempre dai vigneti europei.La mappa dei vigneti non è più la stessa ma ancora oggi il vino è salvo sulle nostre tavole.
Il problema fillossera, venne risolto dopo un intenso, e faticoso lavoro di ricerca.
La fillossera, tuttavia, non è stata ancora debellata: in alcuni territori, infatti, costituisce, un non trascurabile problema.
Alla seconda metà del secolo scorso, risalgono inoltre, le prime acquisizioni nei settori della microbiologia, della chimica enologica, e della nutrizione; della concimazione, della vite. Della biologia, dell’ampelografia, dell’entomologia, e della patologia viticola; con le quali iniziò, il graduale passaggio della tecnica vitivinicola, dal tradizionale empirismo, alla moderna impostazione, su precise conoscenze scientifiche,
Fu ancora nel secolo scorso che si accentuò, il processo iniziato, nello XIV-XVII secolo, dell’investimento di capitale, nella costruzione d’impianti enologici.
Questo processo si è intensificato, nel secolo attuale, fino ad assumere, durante gli ultimi decenni, dimensioni notevoli a livello territoriale, anche con varie forme associative sia mondiale, con le società multinazionali ad integrazione verticale.
Nel corso degli anni, in Europa, e soprattutto in Italia, avvenne una profonda modificazione, della viticoltura determinata, dalla necessità, di adeguare le strutture produttive, e tipologiche dei vini. Tali cambiamenti, hanno determinato,nei Paesi d’antica tradizione viticola,una sostanziale riduzione dei consumi individuali di vino,ed un continuo aumento della richiesta: di prodotti garantiti al consumatore dalle leggi sulla: ”Denominazione d’origine”.
Per quanto, riguarda infine le prospettive future della vitivinicoltura,esistono fondati motivi per attendersi notevoli evoluzioni,rappresentate,anzitutto,dalla possibilità,d’ulteriori progressi tecnici,resi possibili dalle continue acquisizioni della ricerca sperimentale.
Lo stesso superamento delle distanze,con la concorrenza diretta tra i vini prodotti,nei due emisferi,spesso da medesimi tecnici,ed imprenditori,rappresenta una nuova realtà,che non mancherà di produrre,i suoi effetti su un mercato globale.
Vi sono però concreti motivi d’ottimismo,basati sulla fiducia nella capacità di adeguarsi,in tempi utili ai cambiamenti;anche se i vigneti,sono strumenti che richiedono anni per rinnovarsi,quindi entrare in produzione.

I Vitigni: le diverse varietà di Vitis vinifera, hanno di sicura importanza determinante, per lo stile e la qualità dei vini, ma sono soltanto, il punto di partenza.
Sono molteplici i fattori da tener conto, che riguardano: preparazione del terreno, le condizioni ambientali e climatiche e l’arte di fare un buon vino.
Una regola basilare per ottenere una migliore qualità dei vini è di operare, prima di tutto sulla scelta del terreno su cui piantare queste piante.
I suoli più adatti, sono quelli di medio impasto silicei-argillosi, silicei sassosi e calcarei.
Per una viticoltura pregiata, è preferibile, che i terreni siano in collina, che siano curati, e ben esposti al sole, tutto questo, per ottenere, un sublime vino.
Il fattore climatico, è un altro punto di riferimento, per questa pianta.

Le migliori condizioni generalmente sono quelle offerte da un clima temperato, dove la “funzione clorofilliana”, è in grado di offrire al frutto ricchezza di zuccheri, assieme ad un giusto contenuto d’acido.
La nostra Nazione (Italia), vanta una straordinaria ricchezza di vitigni.
Molti di questi, sono sconosciuti, dimenticati, o addirittura estinti: circa 300 sono le varietà (autoctone), di questa pianta, da definire veri e propri tesori enologici.
La parola autoctona oggi è molto di moda, sta a significare: vitigno che ha origine in Italia, o che è presente, sul nostro territorio fin dai tempi remoti.
Il più arcaico, di questi vitigni (a….) è, la Coda di Volpe, il quale produce uva sin dai tempi degli antichi romani, e ancora oggi si coltiva nelle Regioni Campania.
Per (alloctona), s’intende invece una varietà, introdotta da altri Paesi in tempi abbastanza recenti (Syrah in Toscana, Gewurztraminer in Sardegna).
L’uva di Merlot, e Cabernet Sauvignon, si trovano nel nostro Paese ormai da secoli, pur essendo originarie d’altre Nazioni, hanno trovato posto, nella nostra tradizione.
Il Sangiovese, è il più diffuso nel nostro Paese, coprendo il 10% del territorio coltivato.


Le Regioni Italiane e i suoi vitigni:



Abruzzo: L’area abruzzese coltivata a vite,si concentra sulla collina litoranea e in alcune zone collinari dell’interno.
La fortificazione costituita dall’Appennino abruzzese orientale(Monte della Laga,Maiella e Gran Sasso) scorge a poca distanza dal mare,segnando una netta divisione climatica tra le aree interne e la fascia marittima e proteggendo quest’ultima dalle masse di aria umida provenienti dal Tirreno.
Trovandosi con un terreno permeabile e asciutto,il clima temperato,la protezione dai venti freddi e umidi,costituiscono condizioni assai favorevoli,per la viticoltura.
Nel 1800 in questa Regione,si diffonde il Montepulciano(a partire da un vitigno originario della Valle Peligna).,verso la fine di questo secolo,l’Abruzzo diventa grande esportatore di uve Montepulciano vinificate in Lombardia e Romagna,con le uve locali di suddette Regioni.
In questa Regione del Centro Italia,la viticoltura interessa circa 35000 aziende,l’uva prodotta,si aggira intorno ai 5 milioni di quintali all’anno,con il 40% dei quali trasformati e imbottigliati in Regione.

Basilicata: Nella morfologia della Basilicata,predominano montagne e colline,con rocce di natura prevalentemente calcarea.
Il clina a causa della posizione della Regione,presenta caratteristiche continentali più che mediterranee,in special modo nelle zone dell’interno.
L’area con maggior interesse vitivinicolo è quello che si stende a nord di Potenza,fino ai confini con la Puglia sul versante Adriatico dell’Appenino Lucano,concentrandosi nella zona del Volture,(vulcano spento).L’apporto di materiale vulcanico,ha conferito al suolo una singolare fertilità,che associata alla scarsa altitudine e alla favorevole esposizione ha reso il territorio particolarmente adatto allo sviluppo di colture pregiate della vite.
Una particolarità della storia,ci rammenta,che i coloni greci avrebbero importato nell’odierna Basilicata,il vitigno Aglianico e a piantare la vite nella zona del Monte Volture.
Gli ettari coltivati a vite nella Regione,sono circa 11000,di questibuona parte in uve di Aglianico.


Calabria:Regione prevalentemente montuosa,dove il 45% del territorio, a quote superiori a 500 metri s/l m.
I rilievi in queste zone,non costituiscono un sistema montuoso unitario,ma una serie di eventi orografici con una disposizione longitudinale,hanno impedito al formarsi di lunghi corsi d’acqua,mentre sono frequenti le fiumare a regime torrentizio.La pianura occupa poco spazio in questa Regione (10%).I terreni in questi luoghi,sono formati da materiale alluvionale,depositato a valle dai torrenti durante l’inverno.
Il clima in Calabria,varia da deboli escursioni termiche sulle aree costiere,ad un clima continentale e temperato all’interno.
In questa Regione come altre del sud Italia(Enotria) furono i Greci a scoprire e a valorizzare la vocazione vitivinicola.
I coltivatori Calabresi,sono rimasti fedeli ai vecchi vitigni,in particolare (Gaglioppo) giunto in queste terre,grazie alla sua capacità d’adattamento,confinandosi in una dimensione “agreste,contadina”ingiustamente penalizzante.
Molti piccoli e medi produttori però da tempo, si sono posti l’obbiettivo di valorizzare maggiormente questo patrimonio unico,con un attento dosaggio di innovazioni;quali la selezione delle varietà dei vitigni,meglio adatte alle condizioni ambientali.
Sono circa 24000 gli ettari di terreno coltivati a vigna,con una produzione inferiore ai 550000 di ettolitri.



Campania: il territorio Campano, presenta caratteristiche eterogenee.
Dalla sua morfologia, si distinguono quattro principali zone, i massicci calcarei dell’Appennino Campano, i rilievi arenaceo-argillosi dell’Appennino Sannita, delle terre del basso Cilento; gli apparati vulcanici (Vesuvio e CampiFlegrei); le pianure, che si sviluppano a ridosso della fascia costiera.
La Campania è stata definita “culla della produzione enoica mondiale.
Quest’importante retaggio culturale, giunto fino a noi grazie alla Scuola enologica d’Avellino, fondata nel 1886 da Francesco De Sanctis.
Poco di meno 30.000 ettari sono i terreni dove sono impiantate le varie tipologie di vite, con una produzione annua di 1.826.000 ettolitri di vino.


Emilia-Romagna: Nelle colline morbide e arrotondate,nelle pianure e in una serie di catene montuose non accentuate,,si possono vedere le coltivazioni vitivinicola di questa Regione. Gran parte della fama enologica è legata al Lambrusco il vino Italiano più venduto sul mercato Nazionale e internazionale.
Nelle zone di produzione attuali, sono stati ritrovati semi di vite silvestre(Vitis lambrusca) che risalgono all’Età del bronzo.
Da recenti ricerche,oggi i Emilia Romagna sono 58.000 gli ettari coltivati.
La produzione annua di vino,ha registrato una netta contrazione dovuta,soprattutto,alla crisi della vendita del vino,ma, con tutto ciò la Regione,è ancora all’apice tra i maggiori produttori nazionali.


Friuli Venezia Giulia: Gran parte del territorio friulano,è montuosa e quindi inadatta alla vite:questa concentrata soprattutto nella zona sud-orientale della Regione.
La fascia collinare, sul confine orientale, si suddivide in due zone,i colli orientali del Friuli,e i dolci rilievi delle zone da Tarcento a Cividale del Friuli.
La passione per la vite e per il vino in Friuli Venezia Giulia risale lontano nel tempo.si parla già dal XIII secolo a.C.
La nuova esplosione però della vitivinicoltura ricorre ai nostri tempi,con l’impianto di nuovi vigneti,questa rinascita,all’insegna della tecnologia, è avvenuta con l’introduzione di vitigni internazionali(Chardonnay,Sauvignon,Pinot,Cabernet,Merlot).
Con circa 19.000 ettari di vigneto,la Regione Friuli Venezia giulia, produce oltre 1 milione di ettolitri di vino.(2% del totale nazionale).


Lazio: Collina e montagna costituiscono oltre 80% del territorio laziale.
La morfologia dei rilievi è caratterizzata da formazioni montuose appartenenti all’Appennino calcareo,cui si affianca,lungo il versante occidentale,il così detto Antiappennino da una serie di coni vulcanici con gli antichi crateri,spesso occupati da laghi.
Una peculiarità della Regione favorita dalle condizioni climatiche, è stata la diffusissima produzione vinicola familiare,anche in certe aree, non vocate, per l’autoconsumo.
La superficie coltivata a vite si aggira sui 30.000 ettari;la produzione vinicola si aggira sui 2,3 milioni di ettolitri,di cui l’85% della produzione, è costituito da vini bianchi.


Liguria: Colline e montagne, caratterizzano la struttura di questa Regione.
Il passo di Cadibona,separa convenzionalmente le Alpi marittime dall’Appennino Ligure.
Nella Liguria alpina, cioè nel Ponente,le valli si dispongono perlopiù perpendicolarmente all’arco costiero aprendo un varco ai venti caldi del mediterraneo verso l’entroterra;mentre nella Liguria Appenninica,cioè nel Levante,le vallate sono orientate longitudinalmente e sviluppano una maggiore lunghezza: i venti addentrandosi nelle vallate, perdono progressivamente il loro calore e apportano notevoli precipitazioni.
Ed è così che il clima, e la laboriosità dei contadini(costruzione di molti terrazzamenti),hanno favorito la coltura della vite,in questa Regione. Ka liguria coltiva,4800 ettari di vitigni e produce oltre 80.000 ettolitri di vino,in prevalenza bianco.
L’esiguità della produzione si spiega soprattutto con la scarsità del territorio ligure:il limite fisico è infatti il principale ostacolo a una maggiore diffusione dei vini della regione.

Lombardia: La Lombardia,è una delle più estese regioni italiane.
Oltre il 40% del territorio, è coperto dalla sezione centrale delle Alpi.
Il clima in questa Regione,è continentale ma con sensibili differenze locali dovute alla morfologia,all’orientamento e all’ampiezza delle valli.
Le zone vitivinicole,anche a causa dei vari clima, sono vocate alla produzione della vite.
I vigneti infatti sono praticamente assenti in alcune province della Regione.
Il terreno coltivato a vite,copre circa 27.000 ettari, la produzione produttiva di vino, si aggira intorno al 1.000.000 di ettolitri,di cui 48% vino bianco, 52% di vino rosso.









Marche: Il paesaggio marchigiano compreso tra l’Appennino e il mare Adriatico,è caratterizzato da una estrema variabilità.
Dal punto di vista orografio,il territorio è ripartito in: montagna (36%),collina(53%),pianura(11%).
Il clima,caratterizzato da piovosità mal distribuita nel corso dell’anno.
Con estate secca, e inverni freddi ,dannosi alla coltivazione vitivinicola.
In questa Regione,sono censite circa 210 varietà di vitigni,ma quelli che prevalgono, sono: Sangiovese,Montepulciano,Verdicchi e Trebbianotoscno.
Sono destinati alla coltivazione della alla coltivazione della vite,circa 20000 ettari di terreno.
La produzione di vino, supera il milione di ettolitri,dove la prevalenza sono vini bianchi.

Molise: Il territorio molisano,è collinare per il 47% e montuoso per il resto 53%.Procedendo per dai rilievi appenninici verso il mar Adriatico,si incontra una continua successione di ondulazioni,costituite prevalentemente da terreni di tipo argilloso-sabbioso,con zone ghiaiose di colore rossastro,per l’alto contenuto di ferro.
Il clima è vario,con sostanziali differenze,tra la fascia costiera (clima marittimo) e l’interno(escursioni termiche)con intense piogge a secondo della stagione.
L’aerea destinata alla coltura della vite è di 7650 ettari circa,con una produzione intorno ai 300.000 ettolitri.


Vini a bacca rossa

Aglianico: vitigno a bacca nera, ci dona un vino rosso d’origine ellenica. Da origine (Aglianico del Vulture, e Taurasi Basilicata).Questo vitigno, è diffuso in prevalenza in Italia meridionale (Campania, Basilicata, Puglia). Si ricava un vino cupo e corposo, fruttato al gusto di mora, quasi d’aver ereditato dal vulcano potenza, e austerità.
Questo vino, può essere invecchiato, forse per le sue origini greche, che lo spingono a cercare di raggiungere l’immortalità, acquistando una grand’eleganza.
Barbera: vitigno, prevalentemente Piemontese, occupa, infatti, circa la metà della produzione di vino rosso in questa Regione.
La sua prima citazione, la troviamo all’inizio del VI secolo d.C.nei catasti di Chieri (Torino), e di Nizza Monferrato (Asti), fu poi Gallesio a chiamarla (Vitis vinifera Montesferratensis), per caratterizzarla come uva tipica del Monferrato.
Da una recente interpretazione, il suo nome, deriva dall’incrocio, tra la parola barba (dal suo complesso sistema di radici), e il termine dialettale albéra (boschi dove furono impiantate le viti, per sostituire altri alberi).
Definito “vino della casa”, era forse la natura” popolare”di questo che lo escluse dal novero dei prodotti di prestigio.
La sua mutazione fu avviata negli anni 70-80, grazie agli sforzi di coordinazione della produzione, e dell’immagine di questo prodotto. Vino di gran consistenza, di colore rosso rubino, carico, vivo, tendente al granato, con il tempo acquista riflessi tenui arancione, corposo, con note di prugna e amarena, e tipico da invecchiamento.

Bardolino: Da un gradevole incontro tra queste uve (Corvina, Rondinella), nasce un sublime vino.
Queste uve, sono vinificate in prevalenza nella zona del Veronese, ed altri comuni limitrofi.
Il Bardolino, è un vino non particolarmente longevo, per questo va consumato, massimo dopo il terzo anno dall’imbottigliamento.
Nettare piacevole, e fragrante, grazie anche ad un clima, carettarezzato da frequenti escursioni termiche.
Questo vino, è di colore rosso rubino, tendente al ceresuolo (ribes e lampone) di sapore asciutto, sapido, leggermente amarognolo, che si trasforma in granato con l’invecchiamento.
Barolo: Considerato vino per antonomasia, prodotto sulle colline delle Langhe, il Barolo è uno dei più eccelsi vini Italiani.
L’uva che genera questo vino è il Nebbiolo.Alba e provincia sono le terre di questo nettare.
Queste uve sono molto sensibili alle variazioni di temperatura, e alle differenze di terreno, e d’altitudine; ed è per questo motivo, che il vitigno nebbiolo, dà prodotti diversi, da luogo a luogo.
Sorprendente è questo, anche a poche centinaia di metri di distanza, le uve di un vigneto, sono differenti da quelle di un altro.
Il periodo minimo d’invecchiamento, è di almeno quattro anni, ma raggiunge la sua perfezione verso i dieci anni; non superando però i venti anni.
Il suo color rosso granato, assume nel tempo riflesso color mattone, il suo profumo etereo, gradevole, intenso, il suo sapore asciutto, pieno, robusto ma vellutato, fanno di questo vino, una vera melodia per il palato.
Bonarda: Varietà e vino diffusi soprattutto in Lombardia, anche se, a causa di un errata identificazione, che risale a secoli fa, esiste delle confusioni, intorno alle varietà bonarda, croatina, e uva rara.
La Bonarda, è prodotta nelle zone del Pavese, (tradizionalmente denominata bonarda), anche se, questo vitigno sembra abbia avuto origine in Piemonte.
Il suo colore rosso rubino, con riflessi porporini, l’odore intenso e gradevole, richiama il sapore di frutta, il floreale, e lo spezziato.
Di sapore secco, amabile e dolce, o frizzante, questo vino dell’Oltrepò si accompagna bene con qualsiasi piatto.
Brunello di Montalcino: Vino rosso, ricavato da uve Sangiovese Grosso. Uve provenienti dal vitigno Brunello, coltivate in terra Toscana (Montalcino).
La particolarità del Sangiovese Grosso, è quella di avere delle bacche più grandi e polpose.
Vino notissimo per la sua austerità, e per la capacità di invecchiare molto a lungo; infatti, prima di consumarlo, è conservato, e curato in botte, per almeno quattro anni.
Per la sua longevità, può bersi anche dopo, dieci o venti anni.
Corposo, balsamico, rosso rubino intenso, è il suo colore. Un sapore asciutto, caldo,
morbido, e armonico, Brunello di Montalcino, è stato il primo vino Italiano a conseguire,
la Denominazione d’Origine Controllata e Garantita (Docg).
Cannunau: Si può definire il rosso più rappresentativo della Sardegna.
L’uva Cannunau, fu introdotta in quest’Isola dagli Spagnoli, conosciuta con il nome di
Granache (Francia meridionale, Spagna).
In bassa percentuale, altre uve concorrono, a migliorare quest’eccelso vino, il bovale grande (localmente detto girone), bovale sardo o muristellu.
Di colore rosso rubino, tendente all’arancione se invecchiato; profumo gradevole, sapore dal secco, all’abboccato, sapido; con sentori vegetali di mirto, frutti rossi, e spezie.
Cesanese: il Lazio culla dell’Impero Romano la storia del vino, si respira nell’aria.
Questo vitigno primeggia nella produzione locale di vini rossi, sia per la sua struttura, e, nell’originalità.
Prodotto per tradizione molto in anticipo rispetto agli altri vini, può essere considerato un autentico novello.
Rosso rubino è il suo colore, tendente al granato con l’invecchiamento.
Odore delicato, ampio, ed intenso, sapore asciutto e morbido, leggermente amarognolo, prevalgono nette, sensazioni speziate, e di frutti di bosco, e polvere di caffè.
Si abbina molto bene con un prodotto di stagione (castagne).

Cirò: Dalle uve del vitigno Galglioppo (probabile origine greca), e con piccole aggiunte di greco bianco, si può gustare questo mediterraneo vino.(Calabria)
Di colore rosso rubino carico.Un profumo gradevole anche se intensamente vinoso, sapore caldo, armonico; il suo aroma, e il suo corpo austero, con l’invecchiamento fa di questo vino, una delle gemme dell’enologia Italiana.
Dolcetto: Vino rosso Piemontese, ottenuto con le uve dell’omonimo vitigno.
Il vitigno Dolcetto, sembra proprio che sia d’origine langarola; il nome di questo, nasce dal fatto che l’uva prodotta, è povera d’acidità, risultando particolarmente dolce, al contrario
di quanto si pensa, il vino che si ricava, è secco e leggermente amarognolo.
Nel secolo scorso, si credeva che le uve Dolcetto avessero capacità terapeutiche, riuscendo così a contribuire alla cura dell’anemia, e la stanchezza.
Oggi, il Dolcetto, è uno dei vini piemontesi più conosciuto, e prodotto.
Il colore di questo vino è rosso rubino brillante, con un profumo intenso, delicato, e vinoso, fruttato con il gusto di mandorla, e vaniglia.Di sapore fine e bilanciato, talvolta leggermente frizzante e morbido.
Gutturnio: Prodotto con uve Barbera, e Bonarda questo vino si produce sui colli Piacentini.
Le uve di Barbera conferiscono a questo vino, forza, corpo e longevità, con l’uva Croatina (Bonarda) dona; freschezza, e garbo.
Si presenta di colore roso rubino, in parte intenso, all’olfatto, i sentori del mosto in fermentazione; è fruttato, e floreale.
In bocca, è secco oppure abboccato, gradevole, fresco, tranquillo o vivace.
Va consumato non più tardi dei due anni dalla sua produzione.
Lagrein: Vitigno, Altoatesino e Trentino, varietà rossa che fa nascere vini ricchi di profumi (ciliegia nera, ribes).
Il Lagrein, è diffuso soprattutto in provincia di Bolzano, la zona di produzione di questo rosso nettare, è molto ampia poiché comprende numerosi comuni della provincia.
Qui la viticoltura, è assai antica, reperti di vinaccioli sono stati scoperti in strati archeologici appartenenti all’Età del Ferro.
Questo vino,è vinificato utilizzando l’omonimo vitigno (95% minimo).
Ha un colore rosso rubino,brillante brioso,esuberante;sapore pieno,morbido e vellutato.
Il vino Lagrein, va consumato molto giovane,da non superare i tre anni .
Lambrusco: Varietà d’uva, e vino rosso, diffuso nell’Italia settentrionale, prevalentemente in Emilia Romagna.
I Romani chiamavano le viti selvatiche che crescevano ai margini (labrum) dei campi coltivati (bruscum), labrusca vitis.
Con il passare del tempo questo vino, prese il nome di lambrusco.
Colore rosso rubino, quasi violaceo, spumoso, vivace, fresco ed evanescente; di sapore asciutto o amabile, e saporito, fa di questo vino spumoso, una prelibata bevanda adatta a tutti.
Monte pulciano d’Abruzzo: Tipico vino fatto con uve del vitigno Montepulciano, con delle piccole percentuali di Sangiovese.
Furono gli Etruschi ad insegnare al popolo Abruzzese, l’arte della viticoltura, e le più elementari, e rudimentali tecniche di vinificazione.
E un vino di calda tonalità rosso rubino, tende al color granato con l’invecchiamento.
All’olfatto, esprime una gran ricchezza di profumi, soprattutto di frutta rossa matura, speziato è il suo odore. (ciliegie, lamponi, mirtilli).In bocca rimane quel gusto asciutto, pieno, e robusto.
Per effetto della conservazione in recipiente di legno, questo nettare può rivelare, un delicato sentore di questo.
Nebbiolo: Sulle colline, che costeggiano il fiume Tanaro, con le uve del vitigno Nebbiolo, si ottiene questo caratteristico vino.
L’origine del nome potrebbe far riferimento al periodo della raccolta delle uve (ottobre inoltrato), quando s’affacciano le prime giornate di nebbia.
C’è anche chi afferma che questo nome gli sia stato dato, a causa dello strato di brina (pruinoso) che, coprendo i chicchi, n’annebbia il colore.
Può presentarsi corposo, se invecchiato (consumato, dopo tre anni dalla vendemmia), oppure delicato e armonico in età giovanile.
Se invecchiato, il suo colore, è un rosso rubino, più, o meno carico e con riflessi color granato.
Il suo sapore va dal secco al morbido; tannico da giovane, vellutato e armonico da maturo.
Negroamaro: Il negroamaro è uno dei vitigni più rappresentativi della Puglia, da lui è ricavato l’omonimo vino.
Da alcune fonti storiche, pare che la viticoltura in loco, sia stata portata dai Fenici, già nel 2000 a.C,quando colonizzarono la Regione, introducendovi,molte varietà di vitigni.
Per molto tempo usato come vino da taglio.
Ora utilizzato in purezza,grazie al rinnovamento delle tecniche,di vitivinificazione.
Di colore rosso rubino scuro, tendente al granato, dai riflessi quasi neri.
Odore vinoso, gradevole e intenso; al palato rimane asciutto, armonico, ed elegante, ed anche un po’ fruttato.
Nero d’Avola: Uva rossa di Sicilia.
Dalla sua spremitura, escono dei vini, molto fruttati (prugna, visciola, e amarene).
Eccezionali, sono: la sua potenza, ed il suo spessore.
Di colore rosso rubino molto marcato, consistente, e longevo, sono le caratteristiche, di questo fruttato nettare.
Petit Rouge: Questo vitigno dal nome Francese, è una delle perle, della produzione di vino in Valle d’Aosta. Le montagne, infatti, sembrano voler difendere questa Regione, dalle incursioni esterne e occultare agli occhi, il valore si, di una produzione limitata, ma d’ottima qualità.
Da queste uve si riesce a ricavare un eccelso vino il Torrette.
Alla vista si presenta, con un color rosso rubino vivace con dei riflessi violacei. Il suo profumo di rosa selvatica, che con l’invecchiamento, si caratterizza per un sentore mandorlato.
Il suo gusto è vellutato, distinguendosi per una tipica e leggera nota amarognola.
Piedirosso: Vitigno a bacca rossa, amante del clima mediterraneo, e dei terreni vulcanici; largamente coltivato in Campania.
Il nome di questo vitigno, pare derivi dal fatto che il raspo del grappolo, ricorda la struttura del piede di un colombo.
Da quest’uva, si ottiene un vino di colore rosso rubino; note balsamiche, e d’erbe aromatiche (salvia, rosmarino, menta), catturano l’olfatto.
Odore fragrante ed intenso è caratteristico, sapore asciutto, e armonico, giustamente tannico.
Refosco: Varietà d’uva rossa Friulana, i suoi vini, dona quel profumo fruttato di: (ribes, ciliegia nera, mora, e lampone).
Al palato si fanno sentire anche quell’aroma di pepe nero,mandorle fresche,e a volte il gusto della menta.
Una sua proprietà e quella di essere nominata,refosco dal peduncolo rosso (allungamento del grappolo),così detta dal colore del suo peduncolo.
Il suo colore, è: rosso rubino intenso, con delle frastagliature violacee.
Raggiunge il suo ottimo impegno con il passare degli anni, divenendo un armonico vino.
Rossese:Uno dei vitigni più in luce in questa Regione,la Liguria.
Questo frutto Ligure,fa nascere un ottimo vino il” Rossese Riviera Ligure di Ponente”,la sua moderata corposità,lo rende piacevole,e profumato.
Di colore rosso rubino,in parte intenso;in bocca rimane asciutto dando una sensazione tendenzialmente dolce e carezzevole,amarognolo quanto basta,delicatamente tannico.
Al naso è delicato con i suoi profumi floreali di rosa canina,rosa,e viola,nonché di frutti di bosco,prestandosi elegantemente ad un notevole invecchiamento (quattro cinque anni).
Venaccia di Serrapetrona: Vitigno “minore” delle Marche, d’antica coltivazione hai piedi di Serrapretona (MC), ove si produce l’omonimo vino spumante naturale.
L’eccellenza di questo sublime rosso Marchigiano, deriva dal fatto che una buona parte delle uve, è messa ad essiccare su graticci, prima di essere spremuta.
Colore dal granato al rubino, il profumo aromatico, e vinoso, il suo sapore che dal secco passa al dolce, per diventare gradevolmente amarognolo.
Spuma persistente a grana fine.
Si consuma da fine giugno, dell’anno successivo alla vendemmia.



Vitigni e Vini a bacca bianca

Albana: Furono i romani a portare la vite d’albana, in Romagna; dagli omonimi Colli Albani a sud di Roma. Altri dicono, che questo nome derivi dal latino albus”bianco”.
I vini prodotti con queste uve, hanno un profumo di, susine e melone.
Di colore giallo paglierino, tendente al dorato se invecchiato.
Il suo sapore asciutto, dove tutti gli elementi che lo compongono, sono ben mescolati tra loro, senza che nessuno prevalga sull’altro, rendendo al corpo una sensazione di calore.
Ansonica: Nelle zone collinari e pedocollinari della provincia di Grosseto, nasce questo vitigno, dove è prodotto anche un eccellente vino bianco.
Di colore giallo paglierino, in parte intenso, al naso leggermente fruttato, e floreale, in bocca il sapore è asciutto, dolce e carezzevole, e vivace.
Va bevuto giovane (12-15 mesi).
Basilicata DOC:Sono diversi i tipi d’uvaggi usati per la produzione di questo Vino,Asprino Bianco,Bombino Bianco,Pinot Bianco,Pinot Grigio ,Chardonnay,Fiano,Garganega,Malvasia di Basilicata,Trebbiano Toscano e verdesca.
In queste zone sono le Aziende a decidere l’uva da usare per questo Vino Basilicata Bianco IGT.
Si presenta con un colore giallo paglierino circa intenso;al naso è gradevole,fruttato,floreale,di buon’intensità e discreta perseveranza;in bocca rimane secco,mediamente caldo,abbastanza morbido,di buon equlibrio,armonico e fine.
Blanc de Morgex et de La Salle : Nella zona tra i comuni di Morgex e di La
Salle in Valdagine,nelle vicinanze del Monte Bianco,si producono questi due vini.
Di colore giallo paglierino tendente al verdino,delicato,fresco e leggero al naso,con piacevole sottofondo d’erbe di montagna;in bocca è secco,acidulo,raffinato,di medio corpo.
Catarratto: varietà d’uva Siciliana, che reca vini bianchi di buona consistenza; dal fatto che si coltiva in altura.
Quest’uva è usata per produrre l’Alcamo, un vino di color paglierino in parte carico, con riflessi verdognoli, profumo fragrante, e con sentori vegetali, di gusto gradevole, amarognolo, ricco d’alcol e di sostanze estrattive (concentrato).
Bevuto giovane, si gusta il pieno sapore della sua freschezza.
Cortese: da un terreno fertile adatto ad essere vitato nasce nel Piemonte il vitigno a bacca bianca Cortese.
Questo produce un vino dotato di buona concentrazione zuccherina, e tasso alcolico modesto.
Il vino si presenta di un colore giallo paglierino chiaro, tendente al verdognolo; odore caratteristico, tenue ma persistente, delicato, sentori di frutta gialla e bianca, con richiami erbacei e minerali, al palato rimane, quel sapore asciutto, e armonico; piacevolmente amarognolo.
Fiano d’Avellino: questo vitigno nasce nel comparto vitivinicolo irpino.
Si dice che gli antichi Romani, apprezzavano i vini prodotti nella Via Appia, che attraversa questa zona. Plino: (Fiano=Apianum, perché i suoi grappoli dolci erano amati dalle api, golose d’uva).
Questo nettare chiamato Fiano d’Avellino, è un bianco elegante, raffinato, e capace d’invecchiare per molti anni.
Si presenta di colore, giallo paglierino, un profumo, e un odore, gradevole, fruttato, con ricordi d’uva ammostata.
Armonico, asciutto, e buon corposo, e il suo sapore.
Si può gustare anche dopo i due anni dalla sua produzione.
Frascati DOC:La zona dei Castelli Romani,è particolarmente vocata per la viticoltura,grazie alla composizione dei terreni,ricchi di sali di potassio e di fosforo;ed il clima mitigato dalla presenza di numerosi laghi.
Il Frascati vino bianco di colore paglierino, con dei riflessi dorati;al naso è giovane, fragrante,con un profumo d’uva matura e sentori di mela e salvia.
In bocca,rimane quel gusto sapido,morbido e vellutato,fresco ed equilibriato.

Grechetto di Todi: Varietà d’uva bianca, coltivata in Umbria, precisamente nelle zone di Todi.
Questo vitigno prese il suddetto nome, perché durante il Medioevo si pensava a produrre vini simili a quelli, che erano importati dal Mediterraneo (Greci).
Generalmente, i vini da uve Grechetto, hanno il colore giallo paglierino, un odore garbato di fiori di sambuco, il gusto è secco, fruttato, morbido e abboccato, con un retrogusto amarognolo.
Lamezia Bianco DOC:Il clima della Calabria,la composizione dei terreni,consentono di ottenere questo Lamezia Bianco;prodotto con Greco Bianco ed altre uve locali.
Di colore giallo paglierino lucido,profumato,fragrante,gradevole e caratteristico al naso,ricorda i vini appena svinati e l’uva ammostata.
Il suo sapore è:asciutto,vellutato e pieno.
Martina DOC:Dai vitigni Verdeca,Bianco d’Alessano,Fiano,Bombino e Malvasia Toscana,si estrae,questo noto ed antico DOC Pugliese.
Verdolino o paglierino chiaro è il suo colore,ha profumo delicato,giovane,gradevole,con note di mela,meone,agrumi e sentori erbacei.
Il sapore è asciutto,delicato e fresco.
Molise Greco Bianco DOC:Questo vino è ottenuto,con l’impiego dell’anonimo vitigno;i suo nome ci porta certamente alle sue origini (Grecia).
Si presenta di colore giallo paglierino;al naso rimane quel profumo delicato,gradevole,deliziosamente fruttato e floreale.
Al palato lascia quel sapore asciutto,sapido,intenso,armonico.
Nosiola: la sua zona d’origine e il sud del Trentino.
Il vitigno del Nosiola, predilige le zone collinari soleggiate e ventilate.
Questo suo nome deriva da “nocciola”, per il colore giallo, con riflessi verdi della buccia, e per quel suo sapore amarognolo.
Il vino prodotto con queste uve, ha un colore giallo paglierino, con il naso si riesce a scoprire quel suo profumo delicato, fruttato, soprattutto con ricordi di nocciola, e tenui sentori di frutta tropicale; un sapore salato dovuto alla presenza di sali minerali; lo rende lievemente amaro.
Leggero, fine, e corposo.
Pigato Doc (Riviera Ligure di Ponente):Un detto Ligure ci dice che le novità
Sono sempre arrivate dal mare,e sembra proprio che il Pigato sia giunto dal mare (Grecia).L’insolito nome potrebbe derivare dal termine dialettale pigau, (punteggiato),poiché gli acini si presentano tempestati da puntini marrone.Questo vitigno in Liguria ha saputo esprimersi davvero al meglio.
Questo vino è prodotto a tiratura limitata con l’anonimo vitigno.
Si presenta con un colore giallo paglierino,con riflessi dorati e verdini,ha un odore ampio,intenso,con sentori di pesca matura e di fiori di campo;ha un sapore morbido,di buona persistenza,con sfumature che richiamano il gusto della mandorla.

Riesling Italico (Oltrepò Pavese):
Vino bianco,d’origine incerta;ottenuto da uve Resling Rennane,arrivato in queste zone all’inizio del xx secolo,un particolare lo dobbiamo però notare non va confuso,con il Resling Italico.
Di colore giallo paglierino con lance ambrate.
Ha un profumo gradevole da ricordare l’uva matura,le mele e fiori di tiglio;con quel sapore secco e gradevole,può essere tranquillo,vivace e frizzante.
Trebbiano d’Abruzzo doc:
Questo vino è ottenuto dalle uve del vitigno Bombino bianco,localmente detto Trebbiano d’Abruzzo.
Prodotto nelle quattro province,L’Aquila,Chieti,Pescara e Teramo.
E’ particolarmente apprezzato quello le cui uve,provengono dalla parte collinare sotto ad una certa altitudine,e dai terreni che scendono verso il mare.Ha colore giallo paglierino o dorato,un sentore vinoso e gradevole,colpisce l’olfatto
Verdicchio dei Castelli di Jesi:
Nel territorio dei Castelli di Jesi ,le colline nel cuore della provincia d’Ancona,per una certa particolarità del terreno e del clima, e soprattutto la costante ventilazione che impedisce il formarsi dell’umidità sui grappoli,
si è radicato il vitigno Verdicchio.
Questo vino è di un colore giallo paglierino,a volte con sottili sfumature verdi,che volgono al dorato con la maturazione,un profumo delicato,una fragranza fresca e persistente di frutta e fiori,con un leggero sentore di mandorle amare.
In bocca il sapore è asciutto,fine e armonico,con un fondo gradevolmente amarognolo.
Verduzzo Friulano Doc:Vitigno autoctono del Friuli Venezia Giulia.
Esistono due cloni di Verduzzo Friulano:uno verde coltivato principalmente in aree pianeggianti;l’altro giallo, coltivato e prodotto,nelle zone ciottolose.
Colore giallo dorato chiaro o giallo paglierino;l’odore è gradevole,delicato,caratterizzato da piacevoli note fruttate di pesca e albicocca;il sapore di questo vino,è asciutto,amabile o dolce a seconda delle diverse tipologie;di corpo lievemente astringente e allappante.
Vermentino di Gallura:
Questo vitigno è radicato nel nord della Sardegna.
Quando venne definitivamente coltivato in queste zone,dava vita ad un vino poco forte,ma con l’arrivo degli Spagnoli,subì un totale cambiamento,per incontrare i gusti Iberici.
Questo lembo settentrionale della Regione,è l’area dove quest’uva ha messo le sue radici.
Si presenta di colore giallo paglierino con delle sfumature verdognole;intenso è l’odore,con quel profumo fruttato,floreale delicatamente speziato.
Il gusto secco,morbido e leggermente amarognolo,rende questo vino,di una personalità risaltante.
Persistente ed intenso il gusto-olfattivo.



Vespaiolo: Il sinonimo di questo, deriva con tutta probabilità, dal fatto che gli acini maturi, attiravano le vespe, questo vitigno Veneto si trova sulle colline di Breganze a sud di Vicenza.
La produzione vinicola in questa zona è millenaria, sembra che in epoca romana, prosperò al punto, che i dogi della Serenissima, donavano i vini prodotti, alle monarchie europee.
Questo sublime nettare dal colore giallo paglierino intenso, s’intrica al naso con un aroma di frutta, e fiori, con sentori di miele d’acacia, bene in evidenza.
In bocca: asciutto, con una piacevole nota fresca e leggermente aspra sul finale.






Vini Rosati




Aglianico del Taburno:La Puglia è la regione Italiana,più vocata alla produzione di Vini Rosati,sia per le qualità di vitigni che si coltivano sia per il clima.
Questo Rosato,profumato di fiore,è un vino di grande pregio.
Il suo colore rosa ci ricorda gli aromi di ciliegie,fragole selvatiche e ribes.
Caratterizzato da un profumo delicato,fresco e fruttato,un sapore morbido e fresco,deve avere un minimo d’invecchiamento almeno cinque mesi,per far si che questo vino si arricchisce di piacevoli note floreali,che richiamano il profumo dei petali delle rose.
Alto Adige Lagrein Rosato:Tra i più apprezzati d’Italia,il Lagrein è uno dei vitigni autoctoni più importanti dell’Alto Adige,anche se l’origine di tale vitigno,è trentina.
Adattatosi bene anche in Trentino,questo vino,viene coltivato prevalentemente nei terreni alluvionali,dei fondovalle.
Prodotto in zona Ladina,il Lagrein Rosato,si presenta anche con un nome tedesco Lagrein Kretzer.
E’ un Vino di colore rubino chiaro o sovente al rosato,con riflessi color salmone.
L’odore gradevole,si caratterizza,per gli eleganti sentori di frutta(prugne e lamponi).
Il suo sapore,armonico,elegante e fresco,non lascia al nostro palato,una forte corposità.
Bardolino Chiaretto:La zona del Bardolino,si affaccia sulla sponda Veronese del Lago di Garda,conosciuto come vino Veneto,ilBardolino Chiaretto, è uno dei Rosati più conosciuti in Italia.
Questo nettare rosato,nasce da più uvaggi: “Corvina Veronese,Rondinella,Molinara,Barbera, Sangiovese.
Colore chiaro ,rispetto a un rosso,tutto questo distinguibile al fatto della macerazione del mosto,per il Chiaretto Rosato (10-12 ore),Rosso(circa 8 giorni).
Il suo colore rosato,che ricorda il colore della ciliegia,è definito cerasuolo.
La sue delicate sfumature,vanno dal ramato al corallo.
Il profumo delicato e fragrante con note floreali e fruttate,(ciliegia,fragola,lampone e pompelmo rosa),completa la ricchezza olfattiva di questo Rosato.
Il gusto armonico,fresco,fragrante rende questo vino,leggermente frizzante.
Biferno Rosato Doc:In questa piccola Regione Italiana,il Molise,l’attività vitivinicola,è molto intensa.
Dalle uve a bacca nera (Montepulciano,Trebbiano Toscano,Aglianico),si può ricavare uno dei vini Doc della zona,il Biferno.
Si presenta di una tonalità rosa più o meno intenso,il profumo ha odore delicato,ricco di fragranze fruttate;in bocca ha sapore asciutto,armonico e fresco.


Calabria Rosato: Da vitigni magliocco,gaglioppo,nerello mascalese e greco nero, si può gustare questo rosato Calabrese.Oltre a questi vitigni ormai entrati nella tradizione della regione ,sono aggiunti altri vitigni internazionali, come il cabernet,merlot e syrah,che fanno di questo vino una rievocazione storica dai tempi delle prime Olimpiadi.
Non c’è dunque da stupirsi,se ai vincitori di queste,veniva offerto il Cremissa,vino ottenuto da uve della costa ionica calabrese.
Cerasuolo tenue,limpido e luminoso,è il suo colore.
Il suo odore è fruttato con note erbacee e vegetali;medio corpo,leggermente tannico,fresco e sapido è il suo sapore.


Campania Rosato: Vino che comunica storicità.
In Campania infatti, tra le culture agricole,la vite ricopre un posto di primaria importanza e la regione vanta una tradizione enologica di origine molto antica.
Aglianico, piedrosso, sciascianoso e uva di Troia,sono i principali vitigni,per dar vita a questo nettare Campano.
Di colore rosa cerasuolo più o meno intenso,odore floreale,fruttato,speziato.
Di sapore leggermente tannico,con discreta struttura è sapidità


Cannonau Rosato: Dalla Barbagia,Baronia e Ogliastra,sulle colline del Gennargentu (Sardegna) , si può gustare questa delizia di vino.
Questi vitigni di Cannonau,si affacciano nelle fasce litorali della Regione.
Questa vite per le sue qualità, vengono felicemente coltivata,anche nelle aree californiane e australiane.
Potente come un rosso,di bel colore rosa brillante,questo vino a un odore gradevole e caratteristico,con un sapore secco e sapido.



Carmignano Rosato: Franco ,schietto e sincero, il Carmignano, è un rosato versatile, intercambiabile e intraprendente,adatto ad ogni occasione.
Dalle uve di Sangiovese e Canaiolo nero,viene fuori questo vino,familiarmente chiamato: “Vin Ruspo”.
Di colore rosato chiaro perché il mosto resta per brevissimo tempo a contatto con le vinacce; fragrante e fruttato di media intensità è il suo odore,con un sapore secco,sapido,fresco e gradevolmente acidulo,il Carmignano,e adatto per tutte le situazioni.


Colli dell’Etruria Centrale: Variegati uvaggi, concorrono alla formazione di questo rosato.( 50% di Sangiovese,per poi citare la lunga lista:cabernet franc,cabernet sauvignon,merlot,pinot nero e canaiolo nero .
Questo vino Toscano,di colore rosato più o meno intenso;si caratterizza per gli intensi sentori fruttati(mora lampone e fragola e con leggere note floreali di rosa.
In bocca è di buona sapidità,immediato,fresco e semplice.



Etna Rosato: Vino pieno,composto,compiuto e fragrante,ma al tempo stesso solenne,maestoso,eccellente.
Dal uve di nerello mascalese,nerello mantellato,dalla fertilità del terreno vulcanico,ricco di sali minerali,e infine caratterizzato da forti escursioni termiche tra giorno e notte;nasce questo vino tutto Siciliano.
Proprio queste escursioni consentono all’uva di arricchirsi di profumi complessi e molto intensi.
Di colore rosato tendente al rubino,odore intenso e fruttato,con un sapore secco è armonico,riesce a regalarci tutto il calore di quest’isola Italiana.




Friulia Annia Rosato: Il Friuli Annia Rosato viene vinificato con l’impegno di una o più varietà di uva a bacca nera autorizzate e raccomandate nella zona di produzione.
Si tratta di un DOC che si estende in territori pressoché pianeggianti,forse anche per questo motivo questa lembo di territorio ha scoperto la sua
Vocazione per la viticoltura e la vinificazione solo recentemente.
In queste zone i vitigni risentono della benefica influenza della laguna.
Si presenta di colore rosato,tendente al cerasuolo.
Garda Classico Chiaretto: Dalle uve Gropello(Santo Stefano,Marzemino,Sangiovese,Barbera,internazionalmente noto per l’aggiunta di altri uvaggi.L’area comprende che colline che circondano le sponda occidentale e meridionale del lago di Garda.
La vinificazione avviene lasciando macerare il mosto sulle bucce il tempo
Necessario,perché il vino possa raggiungere quel colore Rosato, che lo si può paragonare, al colore di petali di rosa.
Questo Vino si presenta con u delicato profumo fruttato(lampone e fragola)nonché sentori floreali di rosa. Quel sapore sapido e fresco,può lasciare un leggero amarognolo in bocca.


Lambrusco Reggiano: Da Uve di Lambrusco Salamino (85%) ed altre sempre di Lambrusco nasce un piacevole ed intrigante Rosato tutto Emiliano, eccelle dal panino al salame, alle tagliatelle al lardo soffritto e lumachine di mare in umido.
Il Lambrusco Reggiano, si differenzia per questo mix di uve, prendendo le caratteristiche di ognuna di queste.
Il colore rosato, più o meno intenso, è dato da una parziale e breve macerazione, con le bucce.
Al naso si presenta con un profumo fresco di violetta, frutti di bosco.
In bocca secondo il grado zuccherino, può presentarsi, secco. Abboccato, amabile e dolce.
Basso è il suo tasso alcolico, questo Vino si produce anche nella versione Frizzante, e nella tipologia Novello, se vinificato prevalentemente con macerazione carbonica.


Marche Rosato: Da uve di Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot cilegiolo ed altre specie di uve a bacca nera, nelle Marche un Vino Rosato di particolare valore.La viticoltura di questa Regione, trova la sua giusta collocazione sulle colline, con un terreno argilloso ed un clima mite adatto alla vite.
Il Marche Rosato, ha un profumo delicato e fruttato(fragole e lamponi), al naso, si presenta con delle note floreali, di petalo di rose, fiori di campo, ed erba appena tagliata.
Il suo gusto leggero e un accennato retrogusto amarognolo, conferiscono questo Vino, ancora più freschezza.
Il Rosato delle Marche, accompagna gradevolmente: antipasti di salumi e brodetti di mare.
Guadagna in gusto, se è consumato entro 1 o 2 anni, dalla produzione.


Monferrato Rosato: L’area di produzione di questo Rosato Piemontese, si trova tra le province di Alessandria ed Asti.
Dai Vitigni della tradizione Regionale quali: ”Dolcetto, Barbera e altre uve a bacca nera autorizzate, e dai terreni a giacitura collinare e bene esposti, con un terreno di natura argillosa e calcarea si ottiene, come lo chiamano in queste zone, il Ciaret.
Si presenta di un colore che varia dal Rosato al Rubino chiaro.
All’olfatto, l’odore delicato e gradevole, ricorda il mosto in fermentazione, percependo quindi sentori fruttati, floreali e erbacei.
Alle papille gustative, arriva con sapore asciutto e armonico, con una buona freschezza e una discreta persistenza.
Si abbina con, vitello tonnato, riso e vitello arrosto.



Montepulciano d’Abruzzo (Cerasuolo): Il Montepulciano è il Vitigno a bacca nera, più noto d’Abruzzo.
La zona di produzione di questa Uva è molto vasta, confinando con più Regioni.
Ottenuto all’85% dall’omonimo vitigno, con lo stesso procedimento di ogni Vino rosato, nasce questo Montepulciano cerasuolo.
Il Montepulciano predilige i terreni argillosi-calcarei, trovando quindi terreno adatto in questa Regione.
Vino di grande struttura, soltanto il suo colore è tipico del Rosato, anche se all’occhio sembrerebbe più un Vino Rosso.
Floreale e profumato al naso.
Armonico secco e morbido, con un retrogusto mandorlato in bocca.
Si può abbinare ad una cucina molto variegata, che va dal pesce, alla carne.



Pornassio o Ormeasco: Grazie alla ricchezza di minerali sul terreno e dalle Uve di Dolcetto, che i Liguria sono chiamate Ormeasco, in questa Regione, si produce un leggero Vino Rosato.
Il Pornassio, è un gradevole Vino Rosato, che si produce in vari Comuni, in provincia di Imperia.
Il nome di questo Vino significa”schiaccia e trai”, che sarebbe il principio il principio della sua Vinificazione.
Si presenta con un colore rosa corallo, al naso ricorda il mosto in fermentazione, con un retrogusto di frutta e fiori.
Al palato rimane, quel gusto gradevole di medio corpo e leggermente amarognolo.
Adatto ad accompagnare: zuppe di pesce, carni bianche e primi piatti, come risotto al nero di seppia.



Terra dell’alta Val d’Agri: La Lucania, non ha vitigni autoctoni, ed è per questo che per la produzione dei Vini, si è affidata ad altre Regioni confinanti.
Le Uve dell’Aglianico del Volture per esempio, sono riuscite bene a adattarsi in questa Regione, anche grazie all’impegno dell’uomo e del clima.
Il Rosato ottenuto da vari uvaggi è di medio corpo e discretamente morbido.
Si presenta con un colore rosato cerasuolo, con un profumo gradevole, floreale e fruttato(frutti di bosco).
In bocca rimane armonico, morbido e di media struttura.
Si sposa bene, con carni rosse, primi piatti non troppo saporiti, salumi e formaggi.



Vincenzo Gagliardini

mercoledì 23 aprile 2008

La Vernaccia di Serrapetrona



Serrapetrona sorge in posizione assolata tra le colline dell’alto Maceratese; appartiene al comprensorio della Comunità Montana dei Monti Azzurri, territorio ricco di grande interesse storico e naturalistico.
Le origini risalgono al periodo preistorico: vide il passaggio dei Piceni poi dei Romani ed infine dei Longobardi. Tra i prodotti tipici locali, la perla di questo Borgo Antico è la Vernaccia. Vino rosso a Denominazione d’Origine Controllata, spumantizzato con metodo charmatt o classico champenois. Questa delizia a bacca nera è di due tipi: uno dolce ed amabile ed uno più
secco. Si ottiene dal vitigno autoctono Vernaccia di Serrapetrona utilizzato in purezza o al massimo con l’aggiunta del 15% di uve rosse provenienti dai territori limitrofi. Di colore rosso rubino intenso con sfumature purpuree, la Vernaccia ha un persistente profumo di frutta rossa molta matura, di fiori appassiti e di spezie. Di gusto sapido e amabile, caldo con corpo morbido. I tannini sono vellutati, al palato si può gustare un piacevole retrogusto amarognolo. Queste particolarità, ne fanno un vino unico da riscuotere gran successo in tutte le occasioni.
Metodo di Produzione:
Durante la Vendemmia una parte dei grappoli sono messi ad appassire su canne o graticci all’interno di locali dove sono esposti alle escursioni termiche del giorno e della notte.
In gennaio l’uva passita è pigiata, il mosto dolce e pieno di sapori si aggiunge almeno del 40% nel mosto di ottobre, avviando così una nuova fermentazione, che arricchisce la Vernaccia di certi aromi determinandone la trasformazione, in spumante naturale.
La gradazione alcolica non supera 11,5 gradi.
La Vernaccia si abbina sia con il dolce, che il salato.


Vincenzo Gagliardini.

lunedì 21 aprile 2008

Prima Parte - Marche


Le Marche hanno sempre avuto un ruolo determinante nella storia d’Italia.
Regione pluralista, dal significato etimologico di “Terre di Confine”.
Posizionata al ventricolo sinistro nel cuore della Penisola, questa Regione, può essere considerata una vera dogana tra il Nord e il Sud. Da qui questo piccolo gioiello d’Italia prese il nome di “Marca.
Infatti, una diceria hanno appioppato un detto a questa Regione: “Meglio un morto in casa, che un Marchigiano, fuori nell’uscio di casa” Esattori dello Stato Pontificio).
Le Marche ha assorbito e fuso con il tempo all’interno del proprio tessuto etnico.sociale, abitudine e sistemi di vita delle Regioni confinanti.
Pur avendo vissuto periodi storici propri (Piceni, Romani, Longobardi, Bizantini, Corolingi e Svevi), nonché ancor prima, popolazioni Galliche abbiano martoriato queste zone, la popolazione Marchigiana perlopiù gente contadina, hanno acquisito da questi, tracce di ogni genere, quindi segni di civiltà.
Pur sottomessa nel più vicino passato dalla “ mezzadria papalina”, i Marchigiani hanno saputo risorgere e donare alla Nazione i suoi enormi valori.
Negli ultimi 30 anni questo Popolo anche se di origine contadina, ha saputo sfruttare ogni piccolo dettaglio, per crescere e rendersi autonoma dei loro territori e della loro Regione, nel campo dell’Enogastronomia.
Riconosciuta oggi tra le tre o quattro migliori Regioni per: territorio, ospitalità, cucina e vini, le Marche ha il vanto di essere definita la “formica d’Italia”.
La cucina, il vino, l’olio di oliva, il miele, i prodotti ittici e tante altre prodotti della terra, ma non di meno il lavoro assiduo dei ristoratori, dei viticoltori, dei pescatori, dei contadini e artigiani, hanno fatto sì che la Marche, sia entrata nel Gotha, dei grandi corteggiatori di tutto ilo mondo.
La cucina tradizionale: Cosa di più gustoso iniziare un pranzo, con un antipasto a base di salumi (Salame di Fabriano, Ciauscolo, Lonza, Lonzino e Prosciutto di Carpegna), per poi passare ad un primo piatto a base di pasta fatta in casa, quando sin dall’epoca fascista, la battaglia del grano, diede il via ad un considerevole programma di ricerca, che recenti sperimentazioni, a dato vita ad una varietà di altissimo pregio.
Quella all’uovo richiama quella citata sopra”Pasta fatta in casa”, parlando così dei Maccheroncini di Campofilone, prodotti e confezionati nell’omonimo paesino Ascolano (farina di grano duro, uova e maestria), che si tramanda da secoli. Questa pasta trova un perfetto connubio, condita con ragù di carne, o con sugo di pesce sia esso rosso o bianco .Continuando con un secondo piatto fastoso e lussuoso, con dei pesci più profumati d’Italia.
Il mare di questa Regione, è fecondo di molte specie: ”crostacei, scampi, seppie, polipi, pannocchie, moscardini, scorfani, razze, palombi, naselli, sogliole, vongole, telline, una specie introvabile altrove e il ballero, questo frutto di mare, cresce all’interno degli scogli, e si trova in una zona ben delineata del mare Adriatico( Monte Conero).
Mai rinunciare ad un goloso “Brodetto Marchigiano”, dove, per la sua preparazione, ci vogliono svariate specie di pesci.
Pregevolissime ed eccellenti carni di bovino è la “Razza Bovina Marchigiana”un incrocio tra la Chinina e la Romagnola.
Peri veri appassionati, perché rinunciare ad un ricco piatto di: ”Trippa di vitello alla Marchigiana”?
La suinocoltura nelle Marche è da sempre un punto forte, per quanto concerne la produzione, che la trasformazione di questo animale da cortile; anche se però, le Marche, non vanta di una Razza propria diffuse sono: (Large White, Landrace).Un piatto da leccarsi le dita: ”Bistecche di maiale alla Ghiotta”condite con vino bianco, aglio, salvia e rosmarino, un’acciuga pestata aceto, sale e pepe. Contorni di verdure varie, ce ne sono molti, ma una vera sciccheria tutta Marchigiana, sono le “Olive all’Ascolana”.
Una seleziona naturale, prima ancora di quella che compie l’uomo, distingue questo prodotto. Raccolte e scelte una per una, per non schiacciare o intaccare il frutto, le olive passano il primo ostacolo.
Subentra poi, la bravura e la maestria del cuoco, che deve saper preparare questa delizia ripiena al meglio, sapendo bilanciare la tenerezza dell’impasto e la cottura.
Ed ora pensiamo al dolce, ed uno dei primi che si può citare, perché simbolo delle Marche, è il: ”Salamino di fichi”
Sapa(mosto cotto concentrato) Anice, Fichi secchi e Mandorle, sono gli ingredienti di questa tipicità contadina Marchigiana.
Mangiare senza bere, non ha gusto, conviene partire, per procurarsi del Vino.
Questo pezzo di puzzle che compone l’Italia, vanta di 11 D.O.C, a queste vanno aggiunte altre sottodenominazione e qualificazioni classiche.
Andando per escursione geografica da Nord a Sud, facciamo un salto tra la Piana del Metauro e le dolci colline che la dominano.
Qui ci imbattiamo subito con un DOC: Colli Pesaresi, questo Vino si ottiene da Uve “Sangiovese”per il Rosso, dove, però una disciplinare, prevede un aggiunta di Uve “Pinot Nero”non superiore però al 15% del totale.
Lo stesso Vino, però Bianco, è prodotto con Uve di “Trebbiano”, localmente chiamate: “Albanella”con una percentuale non inferiore all’85%.
Il Rosso, si presenta di colore rosso porporino, con tendenze rubiacee.
Al naso rimane un profumo intenso, con sensazioni di frutta boschiva(lampone more e ciliegia maraschina).
Al palato: secco e leggermente sapido, con una sfuggevole persistenza.
Il Bianco è di colore giallo paglierino tenue, limpido e scorrevole.
All’olfatto, abbastanza intenso e persistente, con sentori floreali, buona è la finezza.
Di gusto secco e fresco, con una leggera sapidità, buona intensità e persistente al palato, fine e morbido.
Bianchello del Metauro: Questo Vino Bianco, onora la sua terra, dalla Provincia di Pesaro Urbino, girovagando per le campagne, si possono ammirare questi Vitigni, che in prevalenza sono impiantati, nelle zone interne delle Province sopra indicate.
Le Uve impiegate per il Bianchello del Metauro, sono: Bianchello o come lo chiamano in questi posti,(Biancame o Biancoccio)con l’aggiunta non superiore al 5% di Malvasia Toscana.
Questo sublime Bianco Pescarese, si presenta di colore giallo paglierino, al naso si porge con un profumo delicato e poco intenso, con sapori di pesca.
In bocca, ha gusto secco, armonico e gradevole, con buona acidità:

Una ricetta per questi due Bianchi Pesaresi: ( Brodetto alla Fanese).

Ingredienti: Pesce misto(crostacei vari:( canocchie,scampi,seppie e calamari,scorfani,tracima, rana pescatrice,triglie,razza,palombo e sogliole) olio, cipolla,polpa di pomodoro,aceto,pepe,sale.
Preparazione: Far dorare la cipolla,con olio di oliva extra vergine e un po’ di concentrato di pomodoro,aggiungere il pesce,che se è tagliato potremmo avere una cottura più uniforme,aggiungere acqua,aceto,sale e pepe,cucinare per circa 20 -30 minuti.Servire ben caldo, accompagnando il pesce con del pane inzuppandolo nel sugo.

Scendiamo ora al Centro della Regione, ed approdiamo in Provincia di Ancona, dove Signoreggia un Vino Bianco, effige delle Marche, siamo nella Zona della Vallesina e parliamo del Verdichhio dei Castelli Jesini.
La grande struttura di questo Vino (Vitigno Verdicchio) è data dal terreno, dal micro clima delle colline dell’Esino ed infine la purezza dell’uva stessa, che ogni produttore, cerca di lasciare intatta, senza l’aggiunta di altri uvaggi.
Si presenta di un brillante colore giallo paglierino, con dei riflessi verdi, l’odore è delicato, con sentori di frutta e fiori.Al palato si presenta asciutto e armonico, con un gusto di mandorla e pesca.
Il Verdicchio dei Castelli di Jesi,trova anche un importante posto,nei Vini Spumanti Brut, metodo (Classico e Charmart).Questi sono prodotti anticipatamente alla vendemmia classica(fine estate).

Una ricetta per apprezzare il Verdicchio: ( Coniglio in potacchio ).
Ingredienti: Un coniglio, olio d’oliva, un bicchiere di vino bianco secco, peperoncino piccante (a piacimento), cipolla, aglio, polpa di pomodoro, prezzemolo, rosmarino, sale e pepe.
Preparazione: Spezzare e dividere a grandi pezzi il coniglio strofinarlo con aglio. Tritare la cipolla e appassirle nell’olio insieme all’aglio e peperoncino; aggiungere il coniglio, togliendo aglio e peperoncino.
Salare e pepare e versare il concentrato di pomodoro, aggiungere del vino, cuocere per 30 minuti circa a fuoco medio ed aggiungere se necessari dell’acqua.Infine preparar un trito di prezzemolo e rosmarino, da spargere sul coniglio, prima di levarlo dal fuoco.
Rimanendo sempre in Provincia di Ancona andiamo a scoprire un eccellente Vino Rosso (Lacrima di Morro d’Alba).Prodotto con l’omonima uva (Lacrima 85%) e un’aggiunta di uva (Montepulciano 15%), questo Vino è prodotto in quantità limitata a causa della ristretta zona di appartenenza.

Si presenta di colore rosso rubino chiaro, gradevole è il profumo di fiori rossi, frutti di bosco e lampone.
In bocca è asciutto di buona sapidità, di buon corpo, con tannini bene in evidenza.
Il Vino Lacrima di Morro d’Alba, si accosta bene, con salumi, coniglio alle prugne, carne sulla griglia e formaggi.
Arriviamo alle porte di Ancona e qui non poteva mancare un Rosso, diciamo un Vino cittadino dalle uve di Montepulciano (85%) e Sangiovese(15%) ecco il (Rosso Conero).
Questo Vino per la posizione morfologica dei vitigni, possiamo definirlo collinare e marittimo.
Di colore Rosso rubino talvolta dotato di riflessi granato, se invecchiato.Al naso rimane quei profumi di ribes rosso, prugna, marasca e fiori.
Dal gusto asciutto, sapido e armonico, si sposa bene con: “Arrosto di agnello, manzo brasato, selvaggina e formaggi stagionati.
Mangiamo e gustiamo questo Rosso: ( Fagiano in Salmì).
Ingredienti:00 grammi di lardo, 4 cucchiai di olio d’oliva, 50 grammi di burro, 1 spicchio d’aglio, 1 cipolla, ginepro, salvia, una manciata di maggiorana, 2 bicchieri di Rosso Conero, 4 cucchiai di farina, 1/2 litro di brodo, sale e pepe.
Preparazione: Sventrare il fagiano, infilare all’interno il lardo, legare e insaporire con sale e pepe facendolo rosolare in un tegame con l’olio.
Cuocere per una mezz’ora circa, girandolo spesso e bagnare con il brodo.
A parte preparare il salmì, pestare le interiori del fagiano con aglio, ginepro, cipolla, salvia e maggiorana, aggiungere alcuni cucchiai di brodo, mescolare e passare il tutto in una pirofila.
Sciogliere il burro ed aggiungere il passato di spezie, la farina, salare, pepare, bagnando con il vino rosso cuocere a fuoco lento fino a che si addensato.
Spezzare il fagiano ricoprendolo con il salmì caldo.
Proseguendo il nostro viaggio per la Regione Marche arriviamo in Provincia di Macerata,dove ci aspetta per essere assaggiato un Bianco dei Colli Maceratesi,Vino tutto marchigiano prodotto al 70% con uve Maceratine(detto anche Ribona o Montecchiese)il restante 30% si aggiunge del Trebbiano Toscano. Si presenta di colore giallo paglierino tenue con riflessi verdolini(colore del Verdicchio,si dice infatti che le uve di Maceratine,siano le gemelle delle uve Verdicchio),al naso è delicatamente profumato e gradevole.
Il sapore di questo Bianco Maceratese è asciutto,armonico,con una sensazione citrina.
Si sposa perfettamente, con un primo piatto Marchigiano a tutti gli effetti: Stracciatella in brodo.
Ingredienti: 1 lt ½ di brodo di carne(preferibilmente gallina),2 uova,150 grammi di parmigiano grattugiato,scorza di limone(poca),un pizzico di noce moscata.
Preparazione: si battono le uova in una casseruola insieme al parmigiano ,aggiungendo una grattatine di scorza di limone ed una leggera spolverata di noce moscata,si mescola sino ad ottenere una crema non molto densa.
Salare e versare il contenuto nel brodo caldo.
Agitare il tutto con un mestolo,per far sì che non si attacchi,togliere dal brodo al primo bollore e servire.

Un Vino Rosso appetibile del Maceratese è sicuramente la”Vernaccia di Serrapetrona”a Denominazione d’Origine Controllata, spumantizzato con metodo charmart o classico champenois.Questo Vino è prodotto in due tipi, uno dolce ed amabile ed uno più secco.
Prodotto in una zona molto limitata di questa Provincia su appena 45 ettari, nei Comuni di Serrapetrona, Belforte del Chienti e Sanseverino Marche.
Di colore rosso rubino intenso, con sfumature purpuree.
Persistente è il profumo di frutta rossa molto matura e di spezie.
Il suo gusto è amabile e sapido con corpo morbido, al palato è percepibile un piacevole retrogusto amarognolo.
Vino adatto al tipico Salume “ Ciauscolo”.
Ma sicuramente trova il suo giusto posto nella Pasticceria secca e nei dolci della tradizione locale: ”Ciambelle di mosto”
Ingredienti: Farina, lievito di birra, mosto di vino, olio oliva, anice, uva secca, zucchero, uova e zucchero.
Preparazione: Amalgamare la farina con il lievito di birra mosto e olio di oliva, anice, uvetta e zucchero, lasciare riposare fino a lievitazione completata.
Riprendere l’impasto lavorarlo ancora e lasciarlo di nuovo riposare, per circa un’ora ancora.
A questo punto fare delle ciambelle ed adagiarle in una teglia bene oliata in forno a 180°, cuocere per circa 30’.
Quando saranno bene dorate togliere dal forno.
Il viaggio sta per terminare siamo arrivati nel Sud delle Marche e siamo in Provincia di Ascoli Piceno.
Il primo impatto vitivinicolo l’abbiamo avuto nella zona del Fermano con il Falerio dei Colli Ascolani.
Con uve di Trebbiano Toscano(20%-50%)Pecorino(10%-30%)Passerina(10%-30%) si produce un bianco cui è stato dato il nome dell’antica città di Faleria.
Si presenta di colore giallo paglierino tenue con sfumature verdi se si anticipa la vendemmia, l’odore di mela verde e fiori d’acacia, fa rimanere in bocca un sapore secco leggermente acidulo.
Uno sposalizio perfetto lo può avere con un “ Rombo dell’Imperatore”
Ingredienti: Rombo, sapa, olio, timo, prezzemolo, sale, pepe, vino mielato.
Preparazione: Cospargere su tutto il pesce il trito ed adagiarlo su una carbonella di legno di ulivo marchigiano.
Le zone della provincia di Ascoli Piceno sono contraddistinte da una produzione antichissima di Matrice Picena il “Vin Santo”.
Il primo può essere considerato un recupero di archeologia enologica appurato da certe documentazioni, infatti, questo vino risalirebbe a tempi remoti .(Alcune congregazioni religiose lo avrebbero tenuto nascosto in profonde cantine a forma conica per molti anni, mantenendo lo stato iniziale).
Oggi alcuni Vinivicoltori hanno riesumato questa ricetta producendone in quantità limitata, ma di eccelsa qualità.
Il Vin Santo è prodotto con uve “Passerina”, questo antico Vino si confronta con un'altra tipicità Ascolana ed anche questo Vino sta navigando a gonfie vele verso invidiabili rotte, parliamo del Mitico”Vino cotto Piceno”.
Questo Vino è ridotto a non più del 20% dal mosto e con grande sobrietà spillato da botticelle rimboccate insieme, per preparare il Vino cotto bisogna far bollire il mosto in un recipiente in terracotta o smaltato, poi farlo raffreddare ed aggiungere della cenere di legna.
Coprire e far riposare tutta la notte, in seguito filtrare con un panno di lino per portarlo di nuovo in ebollizione, aggiungere frutta e far cuocere fino a raggiungere una certa densità.
Lasciare raffreddare ed imbottigliare insieme alla frutta.
Questo Vino fruttato si può accompagnare con dei “Biscotti al Vino”.
Ingredienti: 1lt di vino bianco, 1lt di olio extra vergine di oliva, 1 kg di zucchero, 3,5 kg di farina tipo “0”, 1 bicchiere di mistrà, 60 gr di semi di anice, cannella in polvere.
Preparazione: Impastare tutti gli ingredienti meno che la cannella, poi lasciar riposare per 20 minuti circa, formare dei bigoli, annodarli e passarli nella cannella mescolata con un po’ di zucchero.
Cuocere per dieci minuti nel forno ad una temperatura di 200°.

Si conclude qui il Nostro Viaggio nelle Marche, nella speranza che sia stato un piacevole e incantevole giro Enogastronomico, per Voi che leggete queste notizie.
Vi saluto infinitamente.


Vincenzo Gagliardini